In Brasile la Bancada Ruralista, è la lobby più potente.
Si riuniscono ogni mercoledì in una grande villa a Lago Sul, quartiere lussuoso di Brasilia dove una mansion di due piani in legno, vetro e acciaio è stata messa a disposizione dall’Instituto Pensar Agro – un cartello di grandi produttori di soia, cotone e canna da zucchero.
E dalla villa lanciano le loro campagne: hanno abbattuto la presidente Dilma Rousseff, hanno fatto eleggere Michel Temer, proprio il loro sì ha mandato alla presidenza Jair Bolsonaro…È la bancada ruralista, la lobby parlamentare più potente del Brasile. Il loro ultimo successo? La recente eliminazione dei divieti per centinaia di pesticidi e dei pesanti dazi sull’importazione di auto di lusso e delle (costose) macchine agricole, in cambio di canali preferenziali per la carne brasiliana verso l’Europa. Milioni di bistecche sono pronte a invadere il vecchio continente in cambio di Suv e mietitrebbie. Ma quelle bistecche si mangiano, letteralmente, l’Amazzonia.
SONO OLTRE DUECENTO, i parlamentari del Frente parlamentar da agropecuaria agli ordini degli agrari brasiliani. Tra loro ci sono deputati e senatori di quasi tutti i partiti (una trentina), fedeli alla bancada molto più che al partito. «Bancada da boi», la «lobby del bue», li chiamò per scherno una deputata del Pt, imbrancandoli con le bancadas da biblia (gli ultrà religiosi) e da bala (i difensori delle armi). Assunsero con orgoglio quel nome sprezzante e oggi la Bbb è il cuore del potere di Jair Messias Bolsonaro.
Ma è un cuore che brucia. Ci è voluto che il fumo dei roghi spegnesse il cielo sopra San Paolo perché il Brasile si accorgesse che l’Amazzonia andava a fuoco. I roghi ardevano da settimane ma fino all’affumicamento della megalopoli pochi vi hanno fatto caso. Dopo, è scattato un piano che era pronto da mesi: l’assalto all’Amazzonia.
Ottava agricoltura del pianeta, il Basile è il paradiso dei cacicchi, un 1% di latifondisti possiede il 45% dei terreni coltivabili, gente avida che preferisce il lobbysmo ma non disdegna l’omicidio (proprio ieri la camera ha approvato la legge che consente ai fazendeiros di armarsi nei propri terreni, e non solo in casa: uno sdoganamento dei mini-eserciti agrari).
L’AGROBUSINESS PRODUCE un quarto del pil brasiliano e il 32% dei posti di lavoro (oltre 30 milioni), il Brasile è il primo esportatore mondiale di carne bovina e avicola, di soia, caffè, arance, canna da zucchero e etanolo. La bilancia commerciale agropecuaria è in attivo di 87 miliardi di dollari: senza vacche e agrumeti il Brasile sarebbe in deficit.
Questa macchina immensa ora punta all’oro verde dell’Amazzonia, sterminata quantità di terra vergine protetta – a fatica – da leggi che limitano latifondisti e minatori. Gli strumenti sono già stati scelti. Calha Norte è il nome di un’autostrada trans-amazzonica in una regione occupata militarmente negli anni della dittatura. BR-163 è un’altra autostrada amazzonica in via di allungamento. Il «Programma di regolarizzazione ambientale» è in sostanza un’enorme sanatoria per le terre indigene illegalmente occupate nel corso di decenni. La Pec 201 è una modifica costituzionale per dare al parlamento (e alla sua super-lobby) il controllo di terre indigene e protezioni. E via così.
ROGHI sono stati appiccati come suggerimento dei fazendeiros a Bolsonaro: siamo pronti, facci lavorare. Dare fuoco a ciò che resta dopo il passaggio dei disboscatori è la pratica conclusiva dell’invasione di terre protette: libera i futuri pascoli e concima i futuri campi. Un giornale del sud del Parà ha proclamato per il 10 agosto il Dia do fogo, collegandolo esplicitamente alle rassicurazioni di Bolsonaro sulla fine della difesa ambientale. E subito migliaia di incendi hanno morso l’Amazzonia lungo la BR-163, così tanti che li hanno visti – e contati – dallo spazio. Il direttore dell’Agenzia spaziale che ha diffuso i dati è stato licenziato su due piedi come mentitore, la colpa dei roghi girata sulle organizzazioni non governative: «Può essere – ha detto Bolsonaro – un loro attacco alla mia presidenza». Invece era il suo piano.
OPENDEMOCRACY – un sito di discussione e informazione politica internazionale – ne ha trovato tracce nella presentazione che alcuni dirigenti del governo federale hanno mostrato ai leader locali del Parà in occasione della discussione sulla costruzione di un ponte, una centrale idroelettrica e un pezzo di autostrada nella regione. Tra le diapositive del PowerPoint si legge che serve una «campagna sovranista sul bacino amazzonico» e indica «le armi» dell’avversario: «le Ong ambientaliste e indigeniste, i media e la mobilitazione delle minoranze», che finirebbero per «limitare l’azione del governo» e vanno fermate. L’obiettivo era di occupare le terre amazzoniche, scatenare l’emergenza, accorrere a risolverla liberandosi dei vincoli ambientali. Era il febbraio di quest’anno. Sei mesi dopo, l’Amazzonia sta bruciando.