Octopus intende incentivare la creazione di comunità energetiche per accelerare la transizione ecologica a difesa dei consumatori e dell’ambiente, offrendo ai soggetti interessati le soluzioni e i servizi necessari: dalla realizzazione e gestione degli impianti fotovoltaici alla creazione e gestione tecnico/economica della comunità stessa, dal monitoraggio dello stato di salute della comunità agli stimoli all’elettrificazione dei consumi attraverso tecnologie efficienti e piattaforme digitali. Renderemo ogni comunità energetica un vero e proprio ecosistema efficiente e sostenibile.
Grazie alla conversione in legge del Decreto Milleproroghe 162/2019 sono state introdotte anche nel nostro Paese le “comunità energetiche rinnovabili” previste dalla Direttiva Europea RED II (2018/2001/UE). Ma che cos’è una comunità energetica? Con questo termine si intende un’associazione tra cittadini, attività commerciali, pubbliche amministrazioni locali o piccole e medie imprese che decidono di unire le proprie forze per dotarsi di uno o più impianti condivisi per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili.
Di fatto si tratta di un importante passo avanti in direzione di uno scenario energetico basato sulla generazione distribuita, che favorirà lo sviluppo di energia a chilometro zero e di reti intelligenti (o smart grid). In Italia era in effetti già possibile, per i singoli cittadini o per gruppi di aziende, unirsi per finanziare l’installazione di un impianto condiviso e alimentato da fonti rinnovabili, ma non era previsto che tale impianto potesse fornire energia a più utenze.
Come funziona una comunità energetica
Vediamo innanzitutto come costruire una comunità energetica. Il primo passo da compiere è la costituzione di un’entità legale tra i futuri soci della comunità, siano essi persone fisiche, piccole o medie imprese, enti territoriali o amministrazioni pubbliche locali. Dal momento che, per legge, lo scopo di una comunità energetica non può essere il profitto, le forme più comunemente utilizzate per ragioni di praticità e convenienza sono quelle dell’associazione non riconosciuta o della cooperativa. Il passo successivo consiste nell’individuare l’area dove installare l’impianto (o gli impianti) di produzione, che dev’essere in prossimità dei consumatori. Questo significa, per esempio, che un condominio può installare un impianto fotovoltaico sul tetto e condividere l’energia prodotta tra tutti gli appartamenti che hanno scelto di far parte della comunità. Allo stesso modo si possono costituire comunità di quartiere, comunità agricole, comunità di borgo e così via. L’impianto non deve necessariamente essere di proprietà della comunità: può essere messo a disposizione da uno solo o più dei membri partecipanti o addirittura da un soggetto terzo. Il convenzionamento con Comuni o altri enti pubblici, affinché sostengano le spese di investimento per l’impianto, è per questa ragione una modalità spesso utilizzata. Ogni partecipante alla comunità energetica deve tuttavia installare uno smart meter, un contatore intelligente in grado di rilevare in tempo reale le informazioni inerenti produzione, autoconsumo, cessione e prelievo dalla rete dell’energia.
Come funzionano le comunità energetiche? Una volta messo in esercizio l’impianto, la comunità può fare istanza – anche tramite un’azienda esterna all’uopo delegata – al Gestore dei Servizi Energetici (GSE) per ottenere gli incentivi previsti dalla legge per l’energia condivisa. È bene chiarire che gli incentivi non sono riconosciuti a tutta l’energia prodotta, ma solo a quella condivisa all’interno della comunità, cioè a quella consumata dai membri nella stessa fascia oraria di produzione. Qualora la produzione sia superiore al consumo, per l’energia eccedente viene riconosciuto alla comunità il solo valore economico dell’energia, senza ulteriori benefici. Tale energia può anche venire immagazzinata in sistemi di accumulo (tipicamente batterie elettrochimiche agli ioni di litio) per essere poi utilizzata quando le fonti rinnovabili non sono utilizzabili (per esempio di notte nel caso dei pannelli solari) o quando se ne verifichi la necessità (per esempio per far fronte a picchi di domanda). Come ripartire fra i membri i ricavi derivanti dall’energia prodotta attiene alle regole di funzionamento della comunità energetica, che ciascuna comunità stabilisce liberamente attraverso un contratto di diritto privato. Per esempio si può decidere di ripartire i guadagni della vendita dell’energia in eccesso in modo uguale fra tutti i soci ma di privilegiare, nella suddivisione degli incentivi, quanti si sono adoperati affinché i propri consumi fossero contemporanei alla produzione di energia. Da un punto di visto pratico, ogni membro della comunità continua a pagare per intero la bolletta al proprio fornitore di energia elettrica, ma riceve periodicamente dalla comunità un importo per la condivisione dei benefici garantiti alla comunità. Tale compenso, non essendo tassato, equivale di fatto a una riduzione della bolletta.
Le comunità energetiche hanno numerosi impatti positivi su persone, enti e comunità coinvolte:
- Benefici ambientali, evitando da un lato di produrre energia da fonti fossili, dall’altro di dissipare energia in perdite di rete.
- Benefici economici, grazie ai meccanismi di incentivazione previsti dalla legge per promuovere la transizione energetica, cumulabili con altri contributi quali il Bonus Casa e il Superbonus 110%.
- Benefici sociali, dati dalla condivisione degli incentivi finanziari e dei profitti economici con la comunità energetica nonché dai vantaggi ambientali (riduzione di inquinanti e climalteranti) per tutta l’area in cui la comunità è situata.
Che cosa prevede la normativa sulle comunità energetiche
Attualmente, la normativa italiana sulle comunità energetiche rinnovabili consiste nell’articolo 42-bis del Decreto Milleproroghe 162/2019 (convertito con la Legge n. 8/2020 del 28 febbraio 2020), nei relativi provvedimenti attuativi (la delibera 318/2020/R/eel dell’ARERA e il DM 16 settembre 2020 del MiSE) e nel D.Lgs. 199/2021, che dà attuazione alla Direttiva Europea RED II sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. In sintesi, le comunità energetiche rinnovabili sono un soggetto giuridico che:
- Si basa sulla partecipazione aperta e volontaria.
- È costituito da persone fisiche, PMI, enti territoriali o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali.
- È autonomo ed è effettivamente controllato da azionisti o membri che sono situati nelle vicinanze degli impianti di produzione detenuti dalla comunità energetica rinnovabile.
- Ha come obiettivo principale quello di fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari.
Inoltre i soggetti associati mantengono i loro diritti di cliente finale, compreso quello di scegliere il proprio fornitore di energia elettrica, e possono uscire dalla comunità quando lo desiderano.
Quanto al dimensionamento, all’età e all’allacciamento degli impianti, il D.Lgs. 199/2021 ha recentemente reso meno stringenti i requisiti, stabilendo i seguenti criteri direttivi (che dovrebbero entrare in vigore entro fine giugno 2022):
- Gli impianti di produzione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili devono avere una potenza complessiva non superiore a 1 MW ed essere connessi alla rete elettrica attraverso la stessa cabina primaria (corrispondente territorialmente a circa 3-4 Comuni oppure 2-3 quartieri di una grande città) su cui insistono anche tutti gli iscritti alla comunità energetica (l’ARERA definirà delle modalità semplificate per il rispetto del requisito della cabina primaria con un documento di consultazione previsto per maggio: torna a visitarci per aggiornamenti).
- Possono aderire alla comunità energetica anche impianti a fonti rinnovabili già esistenti alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 199/2021, purché in misura non superiore al 30% della potenza complessiva che fa capo alla comunità.
La legge non fa specifico riferimento alla tecnologia rinnovabile da adottare, ma quella che si presta a sfruttare meglio i vantaggi del provvedimento è senza dubbio il fotovoltaico. In attesa che entro fine giugno 2022 il Ministero della Transizione Ecologica e l’ARERA aggiornino i meccanismi di incentivazione e le restituzioni tariffarie previsti dal DL 162/2019, al momento gli iscritti a una comunità energetica ottengono complessivamente un beneficio di circa 179 €/MWh, con un ritorno dell’investimento stimato in pochi anni. Questa cifra è ottenuta dalla somma:
- Della tariffa premio di 110 €/MWh sull’energia condivisa nella comunità, fissa per 20 anni.
- Della restituzione di circa 9 €/MWh sull’energia condivisa per valorizzare i benefici apportati al sistema, importo fisso per 20 anni.
- Del ricavo di circa 60 €/MWh (valore medio stimato su 20 anni) sull’energia rinnovabile immessa in rete, variabile in base all’andamento del Prezzo Unico Nazionale (PUN).
Al fine di premiare la condivisione dell’energia nell’ambito di configurazioni di autoconsumo multiplo, quali le comunità energetiche, dal 15 settembre 2022 (indicativamente) il meccanismo dello scambio sul posto sarà soppresso per i nuovi impianti al di fuori delle comunità, mentre dal 1° gennaio 2025 lo sarà anche per gli impianti già in esercizio.
Le comunità energetiche in Italia
Secondo il rapporto Comunità rinnovabili 2021 di Legambiente, in Italia sono attive o in corso di attivazione sulla base dell’attuale normativa 20 comunità energetiche rinnovabili, distribuite un po’ su tutto il territorio nazionale, mentre altre 7 sono in progetto. Gli impianti di autoproduzione risultano essere per lo più di taglia compresa tra i 20 e i 60 kW, ma con significative eccezioni. Le comunità energetiche esistenti vedono coinvolti enti comunali, famiglie, imprese private, istituti pubblici, cooperative e anche aziende agricole. Per il futuro è attesa una crescita esponenziale del loro numero. Uno studio del Politecnico di Milano (Electricity Market Report) stima che entro il 2025 le energy community italiane saranno circa 40mila e coinvolgeranno circa 1,2 milioni di famiglie, 200mila uffici e 10mila PMI.
Le comunità energetiche in Europa e nel mondo
Tra le comunità energetiche esistenti nel mondo, accomunate dalla dimensione locale dei sistemi di produzione e di scambio di energia da rinnovabili, due esempi emblematici sono:
- Grupo Creluz, Rio Grande do Sul (Brasile): creato nel 1999, il gruppo è arrivato a possedere e gestire 6 impianti idroelettrici, rifornendo di energia i 20.000 soci residenti nella zona.
- BMG – The Brooklyn Microgrid, New York (Usa): fondata in tempi recenti (2016), consiste in una rete energetica comunale in cui i cittadini di Brooklyn, residenziali e commerciali, possono – attraverso un’App – acquistare e vendere energia rinnovabile generata localmente.
Le origini delle comunità energetiche
Anche se da un punto di vista giuridico la nascita delle comunità energetiche è recentissima, in Italia i primi prototipi risalgono addirittura a fine Ottocento. Si tratta spesso di cooperative sorte in località di montagna per garantirsi, attraverso la produzione locale, il necessario approvvigionamento energetico. La prima comunità energetica in assoluto si può considerare la SEM – Società Elettrica in Morbegno, fondata in Valtellina nel 1897. Ancora oggi la società cooperativa produce energia elettrica attraverso otto impianti idroelettrici della potenza installata di 11 MW e rifornisce 13.000 utenti.
La Cooperativa Elettrica Alto But si è costituita invece in Friuli nel 1911, inaugurando nel 1913 l’impianto del Fontanone, destinato alla produzione di energia idroelettrica per l’industria e il consumo privato. Attualmente gestisce 5 impianti per un totale di 10,8 MW. Un altro esempio di comunità energetica rinnovabile ante litteram è la Società Elettrica Santa Maddalena, sorta nel 1921 per promuovere lo sviluppo sostenibile della Val di Funes, in Alto Adige. Tutt’oggi produce energia da fonti rinnovabili utilizzando impianti idroelettrici, fotovoltaici e a biomassa, cedendo il surplus alla rete e reinvestendo i guadagni in progetti sul territorio. Tra i precursori anche l’Azienda Energetica Prato Società Cooperativa, fondata nel 1926 da 47 abitanti della Val Venosta, sempre in Alto Adige, per sfruttare l’energia idroelettrica del rio Cerin. Oggi i 1.472 soci possiedono 4 centrali idroelettriche (per complessivi 4 MW) e un impianto fotovoltaico da 103 kW. Ultimo esempio storico è la CEG – Società Cooperativa Elettrica Gignod di Saint-Christophe, in Valle d’Aosta. Nata nel 1927, l’energia prodotta dal suo impianto idroelettrico è ceduta ai soci residenti nei Comuni circostanti e la quota eccedente il consumo venduta in rete per scopi mutualistici. In Europa il vero sviluppo delle energy community ha avuto inizio negli Anni 70, con l’installazione in Danimarca di alcuni impianti eolici da parte di cooperative di cittadini interessati a promuovere le energie rinnovabili, per poi diffondersi negli Anni 80 anche in Germania e Belgio. Negli anni Duemila, a dare nuovo slancio alle REC (Renewable Energy Community) sono infine arrivate la liberalizzazione del mercato energetico e l’impetuosa innovazione tecnologica.